L’aggressività infantile

Il conflitto e l’esplicitazione dell’aggressività rappresentano un’occasione di apprendimento per i bambini: permettono loro di misurare le proprie forze, le capacità e le strategie di risoluzione di eventi problematici. L’aggressività infantile è quindi l’espressione di parte di una maturazione costellata di momenti di sperimentazione dei propri limiti e delle proprie possibilità.

“L’aggressività è un’energia, una forza vitale presente nel bambino sin dalla nascita,
quindi ancor prima che possa esprimere i suoi impulsi intenzionalmente”.  Winnicott

La crescita del bambino è costellata di momenti di sperimentazione dei propri limiti e delle proprie possibilità. L’aggressività infantile è l’espressione di parte di questa maturazione.

Nel primo anno di vita il bambino tocca gli oggetti, li getta via, li porta alla bocca, li batte per terra.. Lo stesso  fa con i coetanei, li “esplora” come fossero oggetti, li tocca , li spinge, li morsica anche! Il morso è un atto aggressivo tipico dei 18 mesi che non è generalmente associato all’intenzione di far male, ma è piuttosto il tentativo di esperire l’altro, assaggiandolo.

A due anni l’aggressività diventa un comportamento intenzionale attraverso cui attirare l’attenzione e con cui conquistare il proprio posto nel mondo.

A tre anni i bambini cominciano ad interagire in modo compiuto con i pari  ed è a questo punto che l’aggressività infantile diventa un mezzo di affermazione sociale all’interno di un gruppo.

Nell’ottica dell’interazione sociale il conflitto e l’esplicitazione dell’aggressività rappresentano un’occasione di apprendimento per i bambini: permettono  loro di misurare le proprie forze, le capacità e le strategie di risoluzione di eventi problematici.

L’apparire dei termini io e tu nel linguaggio verbale, la rivendicazione  della proprietà degli ogetti mio  e tuo e la difesa del territorio, sono l’evidente manifestazione di una maggiore consapevolezza si sé, presupposto per arrivare a qualsiasi tipo di interazione sociale.

Anche la struttuta del conflitto varia nel tempo dapprima si manifesta nel rapporto diadico mio-tuo , in seguito si allarga alla dimensione del gruppo. Le dinamiche comportamentali rimangono pressochè le stesse : la difesa del territorio, la contesa dell’oggetto…

L’aggressività nei bimbi può  avere una valenza comunicativa, è un modo rozzo ed imperfetto di cercare la comunicazione con l’altro, può essere un comportamento di difesa del proprio territorio, del proprio spazio fisico e psicologico, ma può essere una ricerca di attenzione  oppure una risposta ad una frustrazione.

Lo stesso comportamento può assumere significati diversi in relazione alla situazione in cui viene agito.
Un’attenta analisi delle specifica situazione può aiutare l’adulto a non confondere un comportamento aggressivo con un comportamento di “immaturità sociale” dove i bambini non padroneggiano modalità più articolate come la mediazione verbale.

L’adulto deve osservare attentamente il  bambino, il contesto e deve cercare di capire cosa comunica un determinato comportamento al fine di non incorrere in atteggiamenti inadeguati che sono vissuti come punitivi e non come stimolo di riflessione e di maturazione di consapevolezza.

Il problema del contenimento dell’aggressività è strettamente connesso a quello dei limiti da porre ai bambini nel corso del loro sviluppo e a quello della consapevolezza di sé.

Per poter incanalare le tendenze aggressive, sempre presenti in ogni bambino, bisogna prima di tutto aiutarlo a riconoscere dentro di sé. E dare un nome, un significalo alle azioni che provocano, trasformandole da semplici impulsi in emozioni, sentimenti, intenzioni. Il passaggio dalla “messa in atto” dell’aggressività alla sua trasformazione in pensiero consente al bambino di accettarla come parte di sé, del suo mondo interiore e di controllarla meglio, come tutto ciò che si conosce. E quindi fa meno paura.

Il conflitto è una modalità di relazione con gli altri, fa parte del processo di acquisizione del processo sociale e come tale è necessario. Educare alla socialità non significa negare i conflitti ma aiutare i bambini a gestirli in maniera non aggressiva favorendo la consapevolezza di sé.

E’ importante sapere, però, che prima di potere incanalare le tendenze aggressive il bambino deve imparare a riconoscerle dentro di sé. Questo avviene iniziando a “dare un nome” ed un significato alle azioni che mette in atto, trasformandole prima in emozioni e sentimenti, infine in intenzioni.
La trasformazione, dall’ azione al pensiero, è fondamentale perché consente al bambino di accettarla come parte di sé e di conseguenza di controllarla come fa già per ciò che conosce. Questa sorta di elaborazione mentale avviene già in modo molto semplice nei bambini, attraverso il gioco, il disegno la corporeita, la narrazione.. per esempio, poiché permettono di rappresentare ad un livello simbolico i piccoli conflitti interiori.

E’ anche necessario dare dei limiti ben chiari ai bambini nei quali si possano sentire contenuti,stabilire delle chiare regole di comportamento, offrire delle modalità alternative con cui sfogarsi o esprimersi (ad esempio la creta), verbalizzate i loro stato d’animo non negandoli ma riconoscendoli.

E’ importante che l’adulto si ponga nei confronti del babino aggressivo in una posizione di osservazione, di ascolto, di accoglienza e non di giudizio. E’ necessario che fornisca sia dei limiti chiari e decodificabili ma anche delle strategie di elaborazione per facilitare un percorso di consapevolezza e di crescita.