La “pipì a letto”, un problema sommerso

L’enuresi notturna, detta comunemente “pipì a letto” è un fenomeno naturale solo fino ai 5 anni. Dopo questa età può figurarsi come un disturbo che va compreso e opportunamente trattato.

La “pipì a letto”, più propriamente “enuresi” (“urinare dentro”) è un fatto assolutamente naturale legato alla maturazione dell’apparato urinario. Lo è fino ai 5 anni, l’età in cui la funzione dell’apparato risulta completamente maturata. Ma spesso si verifica oltre tale età: le statistiche dicono che su 100 bambini, 10-20 soffrono del disturbo arrivati all’età di 5 anni e che a bagnare il letto sono 3 giovani su 100 nella fascia tra i 15 e i 20 anni. E in qualche caso, l’enuresi non scompare neppure con l’adolescenza ma può essere ancora presente negli adulti, in una percentuale dello 0,5-1%. È in questi casi che l’enuresi si figura come un disturbo (più che come una malattia), conseguenza di una sottovalutazione del problema dai 5 anni in su, ove quasi un genitore su due sembra non curarsene, nella convinzione che il disturbo sia destinato a sparire spontaneamente. Non sempre è così, purtroppo.

In una conferenza stampa cui sono stato presente tempo fa, promossa dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, alcuni esperti hanno denunciato come il disturbo dell’enuresi sia estremamente sottostimato nonostante la sua diffusione elevata. E come le conseguenze possano essere gravi sotto il profilo psicologico: un bambino che prosegue a fare la pipì a letto quando avrà acquisito piena consapevolezza di sé avrà problemi di autostima, una vita relazionale limitata (si vergognerà, ad esempio, a dormire a casa di un amichetto o partecipare ad una gita scolastica) con ripercussioni anche sul rendimento scolastico, dal momento che avrà un sonno frammentato con conseguente calo della capacità di attenzione. Egli inoltre maturerà sensi di colpa nei confronti dei genitori, percependo la loro frustrazione. Diventa dunque necessario consultare il pediatra, il quale si avvale di strumenti estremamente semplici per riscontrare l’esistenza del problema (ad esempio, chiedendo ai genitori di tenere un calendario delle notti in cui il bambino bagna il letto, come pure di quelle in cui il letto resta asciutto). Egli inoltre potrà verificare, da un’analisi delle urine, se il disturbo è legato o meno ad una eventuale infezione contratta. Per quanto riguarda la terapia, poi, essa dovrà essere necessariamente personalizzata: tra le varie strategie, vi è la terapia farmacologica finalizzata a ripristinare l’alterata produzione di urine.

Gli esperti suggeriscono che l’enuresi venga affrontata, dai genitori, quando il bambino ha raggiunto l’età di 4 o 5 anni e non ad 8 anni come spesso accade. Sicuramente una visita si rende necessaria al momento dell’ingresso del bambino nella scuola elementare. E anche la scuola stessa può fare la sua parte, spiegando ai bambini la fisiologia vescicale in modo opportuno e promuovendo corretti modelli comportamentali, come quello di bere con regolarità e non porre mai limiti all’accesso ai servizi igienici.

Bambini e Terremoto

Come spiegare un terremoto ai bambini? La domanda è diventata di drammatica attualità dopo gli eventi sismici verificatisi a fine agosto e poi a novembre 2016 nel Centro Italia. Riportiamo qui alcune risposte al riguardo da parte degli specialisti della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale.

Come spiegare un terremoto ai bambini? La domanda è diventata di drammatica attualità dopo gli eventi sismici verificatisi prima a fine agosto e poi a novembre 2016 nel Centro Italia. Una domanda che evidentemente riguarda tanto i bambini direttamente coinvolti quanto quelli che, pur lontani dai luoghi colpiti, ne hanno sentito parlare o addirittura hanno avvertito le scosse nelle loro case. Ai primi, ma soprattutto ai loro genitori, possono essere utili i consigli provenienti dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale che ha stilato una sorta di vademecum su come relazionarsi con i più piccoli di fronte ad un evento fortemente destabilizzante che cancella i punti di riferimento e impone di adattarsi a nuove abitudini di vita. Naturalmente, nel parlare con i bambini, si dovrà tenere conto di vissuti diversi e diverse sensibilità, così come utilizzare approcci differenti secondo l’età del bambino, ma le linee guida dei pediatri e degli psicologi della SIPPS sembrano generalmente applicabili in tutti casi. Si comincia con il valorizzare gli esempi di solidarietà, sia quelli di cui i bambini possono essere diretti testimoni che quelli provenienti da altre parti d’Italia: ciò perché, dopo una catastrofe, tendono ad emergere il senso di solitudine e di abbandono che possono essere vinti dalla percezione del calore umano. Secondo gli esperti della SIPPS, inoltre, è auspicabile che un genitore sappia creare aspettative stimolanti che si possano sovrapporre, nella mente del bambino, ai disagi e alle sofferenze: spiegargli che potrà avere una casa e una scuola più bella e sicura, ad esempio, può avere effetti sul suo stato d’animo. Utile anche individuare gli aspetti positivi di ogni situazione senza mostrarsi troppo preoccupati (valorizzando, ad esempio, quel senso di comunità che porta la condivisione dei sentimenti) così come aiutare il bambino ad esternare ciò che prova, ricorrendo ai disegni e alla loro valenza terapeutica e lasciando che il bambino possa gestire i propri ricordi senza esprimere nostalgia per ciò che non c’è più. E ancora è bene spiegare ai bambini che i terremoti sono eventi naturali cui bisogna prepararsi; i genitori, inoltre, devono offrire il loro esempio cercando di riprendere le loro attività quotidiane dando una parvenza di normalità. Infine è indispensabile, per i pediatri, che i genitori sappiano intercettare e segnalare allo specialista quei segnali di ansia e disagio che potranno richiedere un approccio specifico, si tratti di mal di testa o di dolori più o meno vaghi.

Le patologie di neonati e bambini on line

Presentato il 31 marzo alla stampa e poi al pubblico e agli operatori del settore al Cosmofarma di Bologna (la fiera internazionale della farmacia) “Lo sai mamma?” è un nuovo spazio su Internet ove mamme e famiglie possono trovare preziose informazioni sui disturbi e le malattie dei neonati e dei bambini, più in generale su argomenti pertinenti l’area materno-infantile.

Realizzato da Federfarma Milano grazie al contributo scientifico dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e dell’Associazione Culturale Pediatri (Acp), “Lo sai mamma?” era già attivo in via sperimentale in Lombardia a cura delle farmacie della Regione ma ora, rinnovato e integrato da nuove schede informative, è diventato un servizio nazionale dall’accesso e utilizzo pratico con contributi a cura di autorevoli professionisti sanitari, tra farmacisti, ricercatori e pediatri sul territorio. 

Secondo Antonio Clavenna, ricercatore del Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri: “Il progetto Lo Sai Mamma? si è caratterizzato per la modalità collaborativa con il coinvolgimento di differenti esperienze e competenze (anche quelle genitoriali) e per la valutazione formale da parte di un gruppo di lettura composto da mamme, fatto non usuale nella redazione di materiali informativi. Riteniamo, infatti, come Laboratorio, e come Istituto Mario Negri, che la partecipazione attiva dei cittadini/utenti sia parte essenziale dell’attività in-formativa”. 

Sono ben 54 le schede aggiornate che illustrano, con parole semplici, le principali patologie del bambino: dalle dermatiti alle allergie, dalla psoriasi alle malattie infettive, dalle infezioni respiratorie alla congiuntivite, dalle punture di insetto alla celiachia, stipsi, laringospasmo, e molte altre. Vi sono inoltre schede su temi comunque legati alla prima infanzia come il pericolo di incidenti domestici, l’educazione all’uso della televisione, di Internet e dei telefonini , il ruolo della lettura e della musica. 

Le schede sono disponibili sia sotto forma di testo on-line sia in formato pdf adatto alla stampa. A questo link.

Non aprite quella pappa!

È in uscita in libreria (11 febbraio 2016) un volume che ritengo di voler segnalare a quei genitori che vogliano approfondire il tema dell’alimentazione nei primi mesi di vita dei loro bambini, facendo luce sugli aspetti industriali del “baby food”, con risvolti inquietanti. Il libro si intitola “Non aprire quella pappa” (sottotitolo: “Manuale di autodifesa per genitori e bimbi”),

è edito da Altraeconomia ed è stato scritto da Laura Bruzzaniti, una giornalista romana già autrice di un volume dedicato agli inganni pubblicitari nel mondo dei cosmetici. Anche qui si parte da un’analisi impietosa del marketing del settore: l’autrice traccia la storia del “baby food” a partire dall’invenzione del “cibo in scatola” per l’infanzia, commercializzato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1927, arrivando ai giorni nostri nei quali il mercato risulta praticamente monopolizzato da tre grandi corporazioni (la Kraft-Heinz Company, la Danone e la Nestlé) le quali usano ricorrere spesso ad espedienti comunicativi che sfiorano la pubblicità ingannevole, manipolano la coscienza dei genitori (instillando loro i sensi di colpa) e ammiccano ai più piccoli con spot e confezioni che attirano la loro attenzione. 

Ma il vero problema è quello dei contenuti dei vari vasetti e confezioni che inondano gli scaffali dei supermercati e delle farmacie. La Bruzzaniti, spalleggiata da esperti nutrizionisti e pediatri, spiega come il cibo che viene promosso come adatto per l’infanzia spesso non lo sia affatto: la presenza di zucchero, sale, farine raffinate, grassi “cattivi”, additivi e aromi presenti in quantità spesso eccessive ne fanno degli alimenti potenzialmente pericolosi per la loro crescita, aprendo le porte, insieme alle varie merendine ipercaloriche e alle bevande gassate, all’obesità. 

Naturalmente non bisogna fare di tutta un’erba un fascio e per questo l’autrice inserisce all’interno del libro anche un vademecum che istruisce genitori su come leggere correttamente le etichette dei prodotti alimentari per l’infanzia, dal latte di crescita agli yogurt, dai formaggini ai succhi di frutta fino alle famigerate “merendine”. E su come orientarsi in un mercato che vale la bellezza di 30 miliardi di dollari dove non sempre l’etica e il valore della salute dominano sulle esigenze del business…. 

Concludo con un passo molto esplicativo in proposito che estraggo dalla prefazione del libro:

“La scelta del cibo per i nostri figli – che siano neonati, bambini o ragazzi – è sottoposta a influenze di cui non sempre siamo consapevoli: i consigli dei medici, l’informazione che crediamo indipendente, la fiducia che riponiamo in una marca o l’idea che un certo alimento sia adatto ai bambini e salutare. I consigli dei medici, però, non sono sempre liberi da interessi commerciali e la pubblicità si può travestire da informazione indipendente. Spesso non sappiamo esattamente chi c’è dietro a un marchio alimentare e molti cibi non sono affatto così salutari o così adatti ai bambini come il marketing vuole farci credere. Le nostre decisioni alimentari sono decisioni sulla salute e le future abitudini alimentari dei nostri figli e insieme al cibo portiamo in casa anche un modello di consumo, una visione del mondo. La scelta del cibo è quindi una scelta importante, che non possiamo delegare e che deve essere una scelta il più possibile informata.”

Un tavolo tecnico sugli antidepressivi ai bambini

Inefficace e pericoloso: è questo il giudizio che una delle più importanti e autorevoli riviste mediche del mondo, il British Medical Journal, ha attribuito al farmaco antidepressivo a base di paroxetina che viene talvolta prescritto ai bambini che soffrono del disturbo evolutivo dell’autocontrollo o più semplicemente che sono iperattivi.

Attorno alla paroxetina, così come ad altre molecole psicoattive per i minori, esiste da tempo una polemica che vede da una parte le Associazioni a difesa dei diritti dei bambini e dall’altra una nota industria farmaceutica multinazionale che viene accusata di ostacolare la ricerca sugli effetti collaterali degli antidepressivi per motivi economici (per la sola paroxetina, si parla di un giro d’affari di 2 miliardi l’anno). Le Associazioni, statistiche alla mano, denunciano le tendenze al suicidio che sarebbero conseguenti all’uso indiscriminato e continuativo degli antidepressivi nei bambini e negli adolescenti. Un allarme che è risuonato anche a Bruxelles, al Parlamento Europeo, dove è stato chiesto di vietare il commercio dei farmaci a base di paroxetina (ciò che pare difficile, se non impossibile) o quantomeno ottenere una nuova valutazione da parte della EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco. La buona notizia è che qualche settimana fa, in occasione della Giornata Mondiale dell’Infanzia dell’Onu, il Ministro della Salute italiano ha attivato un tavolo tecnico per monitorare il fenomeno della somministrazione degli psicofarmaci ai bambini, in particolare gli antidepressivi. Un segnale che è stato bene accolto dalle associazioni e tra queste una delle più impegnate su tale fronte è stata “Giù le mani dai bambini” che ha auspicato che il tavolo ministeriale si allarghi a tutte le molecole psicoattive per minori.

Le malattie reumatiche colpiscono anche i bambini

Ho partecipato oggi a una conferenza stampa presso il Senato della Repubblica durante la quale è stata presentata una interessante e meritoria campagna di informazione e educazione in età pediatrica. La conferenza era organizzata dall’Associazione Persone con Malattie Reumatiche (APMAR) in occasione della imminente Giornata Mondiale delle Malattie Reumatiche ed ha visto la presenza di alcuni luminari della pediatria come il Prof. Fabrizio De Benedetti,

Direttore della Divisione di Reumatologia dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, del Prof. Rinaldo Missaglia Presidente del Sindacato Medici Pediatri di Famiglia e il Dott. Serafino Pontone Gravaldi, Responsabile Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri. Tutti hanno posto l’accento sulla necessità di informare riguardo le varie patologie che possono insorgere già in età pediatrica in un ambito, quello reumatologico, che generalmente viene associato all’età adulta, per non dire avanzata. La campagna di informazione in questione è basata essenzialmente sulla diffusione di un fascicolo a fumetti – dunque una modalità pensata e realizzata in funzione di una fruizione da parte dei giovanissimi – nel quale viene raccontata la storia di un bambino che manifesta dei dolori alle ginocchia, senza che ciò possa ricollegarsi ad un recente o remoto evento traumatico. La madre ritiene di farlo visitare al pediatra di famiglia che riscontra effettivamente un’anomalia nella situazione del bambino, prescrivendo una visita in un centro specialistico. Nel caso del bambino del fumetto, la diagnosi è un’artrite idiopatica giovanile, una patologia rara ma non troppo che consiste in una infiammazione della membrana che avvolge le articolazioni e che, se non viene individuata e curata per tempo, rischia di danneggiare prima la cartilagine e poi l’osso, quando non arrivare a provocare anche una infiammazione oculare. Altri sintomi da non sottovalutare, oltre quella evocata dal fumetto, sono la difficoltà nel camminare, nel manipolare gli oggetti, giocare o scrivere, che si esprimono soprattutto al mattino con il risveglio.

L’artrite idiopatica giovanile, ha detto il Prof. Fabrizio De Benedetti, è solo una, la più diffusa, tra le malattie reumatologiche che possono colpire i bambini. Ci sono anche il lupus eritematoso sistemico, la dermatomiosite giovanile, la sclerodermia, la spondiloartropatia giovanile e altre ancora, non tutte trattabili con terapie riconosciute e adeguatamente sperimentate.

Complessivamente, sono oltre 10.000 i bambini che ogni anno vengono colpiti da una malattia reumatologica con impatti problematici sia per loro che per loro famiglie e la comunità di riferimento – la scuola, gli amici – che non sempre è in grado di esprimere comprensione ed agire di conseguenza.

Antonella Celano, Presidente dell’APMAR, sostiene che “non è raro che i bambini che segnalano i primi sintomi della malattia non vengano creduti, si pensa ad una finzione motivata ad attirare l’attenzione ma i sintomi non devono essere sottovalutati.” E ha aggiunto: “Affrontare queste patologie tempestivamente e secondo i criteri di appropriatezza e sostenibilità è fondamentale e significa investire in salute, presente e futura. Non di rado i bambini con patologie reumatologiche hanno una qualità di vita che risente delle limitazioni imposte dalla malattia e richiedono un supporto e un coinvolgimento non solo sanitario, ma di tutti coloro che interagiscono, a diverso titolo, con i bambini, in particolare la scuola, ma anche nello sport.”

Tutto parte, ovviamente, dalle famiglie e dai pediatri: questi ultimi devono sapere cogliere quei segnali che possano portare all’individuazione di una patologia anche se rara e indirizzare verso i corretti centri di riferimento. Essendo ben consapevoli che una patologia come ad esempio l’artrite reumatoide, i cui sintomi vengono sottovalutati da ben tre quarti dei pazienti che ne sono affetti – è una malattia potenzialmente molto invalidante.  Che però, nei bambini così come negli adulti, al suo esordio clinico non porta ancora con sè i germi della cronicità e che quindi, se individuata nella sua primissima fase, può consentire interventi precoci ed intensi che possono determinare la remissione e scongiurare la possibile evoluzione verso l’invalidità e le sue pesanti conseguenze.

Bambini e cibo in estate

La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale ha diramato alcune linee guida su come regolarsi con l’alimentazione dei bambini nella stagione estiva. Durante la quale, più che mai, è opportuno porre attenzione alla corretta distribuzione di nutrienti nella dieta, secondo il modello della piramide alimentare, nonché assicurarsi che la qualità degli alimenti e la loro combinazione e preparazione siano adeguate.

Ma i pediatri della SIPPS suggeriscono prima di tutto di suddividere l’apporto calorico giornaliero in 4 o 5 pasti, facendo sì che la colazione e lo spuntino di metà mattinata rappresentino il 20% dell’apporto totale, il pranzo il 40%, la merenda il 10% e la cena il 30%. Nello specifico, la colazione dovrebbe essere ricca, mettendo a tavola latte oppure yogurt (parzialmente scremati per bambini dai 3 anni in su), i cereali (pane, fette biscottate, biscotti e, nel caso dei prodotti confezionati, quelli adeguati sul piano nutrizionale), oltre a frutta e, in alternativa, marmellata e spremuta d’arancia. Sebbene il pranzo debba essere più ricco di nutrienti rispetto alla cena, è bene che entrambi siano completi e sazino il bambino con un primo, un secondo (in quantità proporzionate all’età del bambino) e frutta e verdura, singolarmente o in un piatto unico. A proposito di frutta e verdura (di stagione!), il bambino ne dovrebbe assumere dalle 4 alle 5 porzioni al giorno suddivisi nei vari pasti, da consumare preferibilmente con la buccia per assumere le fibre, servita a pezzi e da mangiare a morsi per contribuire al senso di sazietà del bambino. Altri consigli riguardano la cottura degli alimenti che deve essere il più possibile semplice, come la cottura al vapore o quella al forno, l’utilizzo dell’olio d’oliva che deve essere di qualità extravergine, l’acqua che deve essere assunta in abbondanza. Sulla merenda e gli spuntini fuori pasto in generale, spiega il presidente della SIPPS, la scelta deve “riguardare alimenti che contengono soprattutto zuccheri a basso indice glicemico (fonti di energia), proteine (per la costruzione dell’organismo), vitamine e fibre alimentari (che forniscono maggiore “senso di sazietà”), senza esagerare con i grassi, in particolare con i grassi saturi. Gli alimenti possono essere scelti tra frutta di stagione, yogurt parzialmente scremato, latte con biscotti (meglio biscotti secchi), ghiacciolo o sorbetto di frutta, pane con la marmellata o olio e/o pomodoro, merendina di composizione adeguata. Dolci e gelati dovrebbero essere assunti in estate circa due volte a settimana, preferendo gelati alla frutta. Tra il sorbetto o il ghiacciolo e il gelato meglio preferire i primi in quanto, essendo prodotti senza latte, non rappresentano una fonte in eccesso di lipidi. Soluzione interessante per i bambini sono i gelati alla frutta che presentano un basso apporto calorico. Alcuni tipi di gelato hanno qualità nutrizionali indicate per la merenda dei bambini, per una pausa dalle attività quotidiana o come spuntino per gli sportivi”. E aggiunge: “Ogni giorno è inoltre necessario introdurre una quota di calcio pari a quanto raccomandato per età del bambino, che si ottiene assumendo latte e latticini (latte parzialmente scremato, yogurt naturale con l’aggiunta di frutta fresca, formaggi freschi). Bisogna poi evitare l’eccessiva assunzione di bevande gasate zuccherate e preferire l’acqua naturale per un’adeguata idratazione (assunzione adeguata 1600 ml/die 4-6 anni, 1800 ml/die 7-10 anni, 2100 ml/die maschi e 1900 ml/die femmine 11-14 anni). Visto il periodo estivo si può infine preparare come piatto unico un’insalata di cereali (miglio, quinoa, farro, orzo o pasta di grano meglio integrale) con pezzettini di pesce o legumi (piselli) o formaggio morbido o prosciutto cotto e verdura cotta a vapore”.

Sui singoli alimenti, oltre a quelli di cui abbiamo già parlato, si segnala che il pane dovrebbe essere quello preparato con farina integrale o con farina tipo 1, che le carni andrebbero scelte tra pollo, coniglio, tacchino, vitello, manzo magro e maiale sgrassato, il pesce va scelto preferendo quello azzurro ed evitando quelli di taglia grande come il pesce spada e il tonno, e che i legumi, siano essi freschi, secchi o surgelati, vanno associati ai cereali, componendo un piatto unico da proporre al bambino in alternativa al primo o al secondo piatto.

Buone vacanze!

L’ipertensione in pediatria

Nel giorno dell’apertura del 71° Congresso Italiano di Pediatria in svolgimento a Roma fino al 6 giugno apprendo che uno dei temi che vi saranno dibattuti riguarda l’ipertensione in età pediatrica. Il problema esiste nella misura del 4%, come risulta da un’indagine condotto dal Gruppo di Studio per l’Ipertensione Arteriosa della Società Italiana di Pediatria su un campione di 8.300 bambini ma è sottovalutato dal momento che durante l’infanzia è raro che venga misurata la pressione.

“Un bambino iperteso sarà molto probabilmente un adulto iperteso, quindi a rischio di patologie cardiovascolari, che oggi rappresentano la prima causa di morte e di spesa sanitaria nei Paesi occidentali”, ha dichiarato Giovanni Corsello, Presidente della Società Italiana di Pediatria. “La prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento dell’ipertensione dovrebbero iniziare in età pediatrica, superando il preconcetto che l’età evolutiva sia esente da questa patologia. Misurazioni sistematiche della pressione durante la visita pediatrica, ma anche nelle scuole, possono evidenziare un numero non trascurabile di bambini con valori elevati e consentire un intervento precoce”.

In prima linea c’è l’alimentazione: gli zuccheri e più specificatamente il fruttosio presenti in molte bevande aumentano la concentrazione di acido urico nel sangue, ciò che in alcuni bambini può rappresentare un fattore di rischio dell’insorgenza dell’ipertensione. Secondo i pediatri, inoltre, bisogna agire sull’attività fisica e sulla riduzione del sale nella dieta, regole che valgono per tutti i bambini ma in particolare in quelli che presentano eccesso di peso, quelli nati piccoli per l’età gestionali, quelli che hanno familiari con l’ipertensione già acclarata e quelli che presentano elevati valori di pressione seppure sporadici.

Sulla gastroenterite virale

Ogni anno 400 mila tra neonati e bambini sotto i 5 anni di età vengono colpiti dalla gastroenterite virale, un’infezione (da non confondere con la cosiddetta “influenza intestinale”) piuttosto comune dello stomaco e l’intestino. La causa è quasi sempre da ricercare in virus come il Rotavirus, che colpisce in gran parte i bambini più piccoli e il Norovirus che colpisce anche gli adolescenti e gli adulti; vi sono poi, tra le cause meno frequenti, batteri come la Salmonella e Clostridium difficile.

Nausea, vomito, diarrea o dolori addominali sono i sintomi delle gastroenteriti, siano esse virali o batteriche. Nel mondo, l’infezione da Rotavirus è responsabile della morte di circa 500.000 bambini sotto i cinque anni, per l’80% nei paesi in via di sviluppo; in Italia, così come negli altri paesi industrializzati dove l’indice di mortalità è molto basso, il Rotavirus tuttavia colpisce con frequenza, tanto che si stima che i ricoveri per diarrea dei bambini hanno nell’infezione la causa primaria. Le gastroenteriti virali si contrattano attraverso una trasmissione del virus per via oro-fecale, per contatto o secrezioni respiratorie, attraverso l’ingestione di acqua o cibo contaminato. I bambini possono trasmettersi il virus l’uno con l’altro attraverso la contaminazione delle mani, ciò che avviene soprattutto in ambito sociale e quindi negli asili nido; a quel punto la malattia avrà un periodo di incubazione di due giorni per poi manifestarsi attraverso febbre, disturbi gastrici, vomito e diarrea per una durata di 3-8 giorni, al termine dei quali, in moltissimi casi, si risolve spontaneamente. Sarebbe opportuno, tuttavia, fare assumere al bambino dei probiotici in grado di migliorare l’equilibrio della microflora endogena e, nel caso di diarree acute, compensare la perdita di liquidi con reidratazione del via orale, senza sospendere i pasti che devono essere piccoli, leggeri e frazionati.

Prevenire la diffusione delle infezioni è difficile, come viene evidenziato ancora in questi giorni in due congressi, il 33° Congresso della Società Europea di Infettivologia Pediatrica (ESPID) a Lipsia e l’Europaediatrics Congress, a Firenze. L’unica forma efficace di prevenzione, da quasi un decennio, è un vaccino da assumere per via orale a partire dalla quarta settimana di vita. Un vaccino che immunizza contro il Rotavirus (per il Norovirus ve ne sono due ancora in fase di studio) ma che è poco conosciuto, probabilmente perché non fa parte del calendario nazionale della profilassi pediatrica (e, quindi, ovviamente non è gratuito). Aldilà del vaccino, tuttavia, la prevenzione delle infezioni gastroenteriche si può effettuare adottando misure igieniche e comportamentali come lavarsi sempre bene le mani dopo essere stati alla toilette o prima di mangiare o manipolare il cibo (meglio se con un disinfettante a base di clorexidina, ma anche acqua e sapone possono bastare), porre attenzione alla conservazione dei cibi che non devono essere esposti alla temperatura ambientale per più di due ore, consumare la carne ben cotta soprattutto se non si è sicuri della sua provenienza, evitare uova o le salse fatte con uova crude, consumare solo latte pastorizzato, non condividere tovaglioli, bicchieri, posate e stoviglie.

A proposito di mamme

500 mamme di tutta Italia, con età compresa tra i 18 e i 50 anni, tra le quali il 54,94% con un solo figlio e il 35,57% con due figlie. E’ il campione preso in esame da una nota azienda di alimentazione per l’infanzia e di un gruppo di mamme blogger per scattare la fotografia della condizione materna oggi, in particolare dopo il primo anno di vita del loro bambino.

Il primo dato piuttosto rilevante è il cambiamento di mentalità delle mamme rispetto alla crescita dei loro figli. Fino a non molto tempo fa era l’altezza ad essere considerata il principale parametro di un sano sviluppo di un bambino; oggi, invece, ben 9 mamme su 10 sono più attente ad altri fattori quali lo sviluppo del linguaggio e l’alimentazione sana e corretta rispetto alle varie fasi della crescita. La ricerca dice inoltre che le mamme italiane, in maggioranza, prediligono per loro bambini delle colazioni specifiche a base di latte di crescita ed altri alimenti per l’infanzia; di contro, il 41% mette a tavola il latte fresco, non operando distinzione tra bambini e adulti. Un’attenzione, questa, che non si ripete in occasione degli altri due pasti della giornata, con il 58% delle mamme che tende a cucinare le stesse pietanze per tutti i componenti della famiglia. Come punti di riferimento, si rafforza il ruolo dei genitori e dei nonni pur mantenendo costante l’importanza del ruolo del pediatra; sempre meno mamme, si rivolgono invece alle loro “colleghe” di maternità dialogando su Internet. Le mamme del Nord Italia, infine, tendono a tornare al loro lavoro al compimento del primo anno del bambino più di quanto non facciano le mamme del sud, in una percentuale del 70% contro il 56%. Dopodiché il 34% del campione generale esprime grandi difficoltà nel conciliare il lavoro con la gestione quotidiana del bambino, più ancora che la difficoltà ad affrontare il distacco!