Esprimersi attraverso il gioco

II gioco costituisce per il bambino della scuola dell’infanzia una risorsa privilegiata di apprendimento e di relazioni. Esso infatti favorisce rapporti attivi e creativi sul terreno sia cognitivo che relazionale, consente al bambino di trasformare la realtà secondo le sue esigenze interiori, di realizzare le sue potenzialità e di rivelarsi a se stesso e agli altri.

II gioco costituisce per il bambino della scuola dell’infanzia una risorsa privilegiata di apprendimento e direlazioni. Esso infatti favorisce rapporti attivi e creativi sul terreno sia cognitivo che relazionale, consente al bambino di trasformare la realtà secondo le sue esigenze interiori, di realizzare le sue potenzialità e di rivelarsi a se stesso e agli altri in una molteplicità di aspetti, di desideri e di funzioni.

Il gioco è la vita stessa del bambino, è il modo di essere e di fare esperienza dei bambini e soddisfa una vasta serie di esigenze contrapposte: fare, esplorare, conoscere, liberarsi delle energie superflue, misurarsi con se stesso e con le cose, comunicare, esprimersi, socializzare.

Attraverso il gioco il bambino si esprime con la propria personalità mescolando elementi magici e fantastici con quelli reali tentando di riprodurre, imitare, ripetere, impersonificare, ma anche tentando di realizzarsi edivertirsi.
Il gioco nei nuovi Orientamenti viene delineato non solo come momento socializzante, gioioso, di liberosfogo, ma come spazio-tempo in cui il bambino coordinato dall’insegnante compie conquiste cognitive.

L’attività di gioco permette al bambino di manifestare il suo mondo interiore che non è ancora traducibile in parole, ma che in qualche modo deve essere gestito. Il gioco è anche espressione di creatività del bambino che solo attraverso le prove pratiche apprende come funziona il mondo e la realtà.

La creatività non è solo capacità di trasformazione, ma è una sorta di attitudine all’esperimento pratico attraverso cui verificare le proprie ipotesi sul mondo.

L’aggressività infantile

Il conflitto e l’esplicitazione dell’aggressività rappresentano un’occasione di apprendimento per i bambini: permettono loro di misurare le proprie forze, le capacità e le strategie di risoluzione di eventi problematici. L’aggressività infantile è quindi l’espressione di parte di una maturazione costellata di momenti di sperimentazione dei propri limiti e delle proprie possibilità.

“L’aggressività è un’energia, una forza vitale presente nel bambino sin dalla nascita,
quindi ancor prima che possa esprimere i suoi impulsi intenzionalmente”.  Winnicott

La crescita del bambino è costellata di momenti di sperimentazione dei propri limiti e delle proprie possibilità. L’aggressività infantile è l’espressione di parte di questa maturazione.

Nel primo anno di vita il bambino tocca gli oggetti, li getta via, li porta alla bocca, li batte per terra.. Lo stesso  fa con i coetanei, li “esplora” come fossero oggetti, li tocca , li spinge, li morsica anche! Il morso è un atto aggressivo tipico dei 18 mesi che non è generalmente associato all’intenzione di far male, ma è piuttosto il tentativo di esperire l’altro, assaggiandolo.

A due anni l’aggressività diventa un comportamento intenzionale attraverso cui attirare l’attenzione e con cui conquistare il proprio posto nel mondo.

A tre anni i bambini cominciano ad interagire in modo compiuto con i pari  ed è a questo punto che l’aggressività infantile diventa un mezzo di affermazione sociale all’interno di un gruppo.

Nell’ottica dell’interazione sociale il conflitto e l’esplicitazione dell’aggressività rappresentano un’occasione di apprendimento per i bambini: permettono  loro di misurare le proprie forze, le capacità e le strategie di risoluzione di eventi problematici.

L’apparire dei termini io e tu nel linguaggio verbale, la rivendicazione  della proprietà degli ogetti mio  e tuo e la difesa del territorio, sono l’evidente manifestazione di una maggiore consapevolezza si sé, presupposto per arrivare a qualsiasi tipo di interazione sociale.

Anche la struttuta del conflitto varia nel tempo dapprima si manifesta nel rapporto diadico mio-tuo , in seguito si allarga alla dimensione del gruppo. Le dinamiche comportamentali rimangono pressochè le stesse : la difesa del territorio, la contesa dell’oggetto…

L’aggressività nei bimbi può  avere una valenza comunicativa, è un modo rozzo ed imperfetto di cercare la comunicazione con l’altro, può essere un comportamento di difesa del proprio territorio, del proprio spazio fisico e psicologico, ma può essere una ricerca di attenzione  oppure una risposta ad una frustrazione.

Lo stesso comportamento può assumere significati diversi in relazione alla situazione in cui viene agito.
Un’attenta analisi delle specifica situazione può aiutare l’adulto a non confondere un comportamento aggressivo con un comportamento di “immaturità sociale” dove i bambini non padroneggiano modalità più articolate come la mediazione verbale.

L’adulto deve osservare attentamente il  bambino, il contesto e deve cercare di capire cosa comunica un determinato comportamento al fine di non incorrere in atteggiamenti inadeguati che sono vissuti come punitivi e non come stimolo di riflessione e di maturazione di consapevolezza.

Il problema del contenimento dell’aggressività è strettamente connesso a quello dei limiti da porre ai bambini nel corso del loro sviluppo e a quello della consapevolezza di sé.

Per poter incanalare le tendenze aggressive, sempre presenti in ogni bambino, bisogna prima di tutto aiutarlo a riconoscere dentro di sé. E dare un nome, un significalo alle azioni che provocano, trasformandole da semplici impulsi in emozioni, sentimenti, intenzioni. Il passaggio dalla “messa in atto” dell’aggressività alla sua trasformazione in pensiero consente al bambino di accettarla come parte di sé, del suo mondo interiore e di controllarla meglio, come tutto ciò che si conosce. E quindi fa meno paura.

Il conflitto è una modalità di relazione con gli altri, fa parte del processo di acquisizione del processo sociale e come tale è necessario. Educare alla socialità non significa negare i conflitti ma aiutare i bambini a gestirli in maniera non aggressiva favorendo la consapevolezza di sé.

E’ importante sapere, però, che prima di potere incanalare le tendenze aggressive il bambino deve imparare a riconoscerle dentro di sé. Questo avviene iniziando a “dare un nome” ed un significato alle azioni che mette in atto, trasformandole prima in emozioni e sentimenti, infine in intenzioni.
La trasformazione, dall’ azione al pensiero, è fondamentale perché consente al bambino di accettarla come parte di sé e di conseguenza di controllarla come fa già per ciò che conosce. Questa sorta di elaborazione mentale avviene già in modo molto semplice nei bambini, attraverso il gioco, il disegno la corporeita, la narrazione.. per esempio, poiché permettono di rappresentare ad un livello simbolico i piccoli conflitti interiori.

E’ anche necessario dare dei limiti ben chiari ai bambini nei quali si possano sentire contenuti,stabilire delle chiare regole di comportamento, offrire delle modalità alternative con cui sfogarsi o esprimersi (ad esempio la creta), verbalizzate i loro stato d’animo non negandoli ma riconoscendoli.

E’ importante che l’adulto si ponga nei confronti del babino aggressivo in una posizione di osservazione, di ascolto, di accoglienza e non di giudizio. E’ necessario che fornisca sia dei limiti chiari e decodificabili ma anche delle strategie di elaborazione per facilitare un percorso di consapevolezza e di crescita.

La psicomotricità nella scuola materna

I bambini, come gli adulti, hanno un innato bisogno di confrontarsi con gli altri, di entrare a far parte di un mondo sociale che sarà fondamentale per costruire la propria identità. La psicomotricità rappresenta un momento di questo passaggio che consente al bambino di prendere coscienza del proprio corpo, di come funziona e dei propri limiti.

Di conseguenza i bambini impareranno ad avere più controllo di loro stessi, di esprimersi liberamente senza inibizioni e di avere un interscambio delle proprie emozioni ed esperienze con quelle di altri bambini.

Nelle scuole materne e nei nidi d’infanzia (bambini dai 2 ai 5 anni) vengono organizzate due o più volte a settimana attività ed esercizi di psicomotricità. Vengono utilizzati materassi, tappeti, cuscini, strati di gomma piuma, ogni genere di materiale e di struttura sul quale rotolare, saltare, strisciare, ecc..

Ma per dare la possibilità ad ogni bambino di esprimersi, rispetto alla propria  storia e al proprio percorso di crescita e ai diversi stili di apprendimento, vengono proposti laboratori con materiali che i bambini possano utilizzare con più libertà e malleabilità come teli, cappelli o corde. Spesso il movimento è veicolato  dalla musica di diversa intensità e ritmicità.

I bambini possono vivere esperienze “forti” di tipo creativo, conoscitivo, comunicazionale, attraverso processi di apprendimenti che privilegiano la scoperta e la costruzione.

Gradualmente il bambino, attraverso questo tipo di gioco, passa quindi da movimenti spontanei fini a se stessi (che sono caratteristici all’età di 2 e 3 anni), a movimenti organizzati e comandati da regole all’età di 4 e 5 anni. È proprio a questa età che la psicomotricità assume un’importanza notevole, poiché il bambino per mezzo del corpo riesce ad esprimere un proprio linguaggio interiore. Questo aiuterà il bambino ad arricchire la propria personalità e ad avere sempre più consapevolezza e sicurezza di sé.

L’educatrice deve essere in grado di porsi come spettatrice e non come direttrice del gioco; deve solo dettare delle regole fondamentali per una serena espressione di sé all’interno del gruppo ma sarà il bambino a modificarsi e a sperimentare nuove strategie. Lo spazio per tali attività, dunque, deve essere pensato in modo da soddisfare le esigenze del bambino, del piccolo e del grande gruppo.

In base all’obiettivo da raggiungere per fascia d’età, le finalità delle attività psicomotorie si possono sintetizzare nei seguenti punti:

  • la comunicazione, tramite attività di piccolo gruppo, interazione, confronto, autonomia, accrescimento dell’autostima
  • le conoscenze, tramite la conoscenza dello schema corporeo, individuazione delle proprie possibilità di movimento, acquisizione delle competenze organizzative dello spazio, conquista delle capacità di equilibrio e coordinazione;
  • la stimolazione al fare, tramite le esecuzioni e attività su imitazione, esecuzione di attività su comando verbale, esecuzione di attività abbinate a sequenze ritmiche, esecuzioni di giochi motori;
  • la sollecitazione alla ricerca, tramite la sperimentazione di nuovi movimenti, la ricerca di elementi senso-percettivi nell’esecuzione delle attività, la documentazione delle esperienze corporee, la decodifica delle esperienze corporee.

L’obiettivo comune per tutti i bambini è la strutturazione dello schema corporeo, che si raggiunge attraverso il movimento e tutte quelle sensazioni sensitive che arricchiscono il bagaglio conoscitivo del bambino in relazione al proprio corpo, ai suoi movimenti ed al rapporto con gli altri bambini.

Gesti e parole, pari sono

I ricercatori di un Istituto statunitense, esaminando il cervello di un gruppo di volontari tramite la risonanza magnetica funzionale per immagini, hanno scoperto che questo reagisce di fronte ai gesti proprio come fa con il linguaggio parlato o scritto. Da qui se ne deduce che i nostri antenati comunicavano gesticolando e così capendosi perfettamente…

Esattamente come accade per i neonati, gli esseri umani della preistoria hanno cominciato a comunicare attraverso i gesti prima che con le parole. Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda, quella annunciata dallo statunitense National Institute on Deafness and Other Communication Disorders (NIDCD) e pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), ma a ben vedere non lo è, anzi rappresenta un decisivo passo avanti in ambito medico e scientifico.

Perché di mezzo c’è il cervello e la sua capacità di decodificazione. In pratica, i ricercatori dell’istituto, esaminando il cervello di un gruppo di volontari tramite la risonanza magnetica funzionale per immagini, hanno scoperto che questo reagisce di fronte ai gesti (purché dotati di un significato e dunque di uso comune) proprio come fa con il linguaggio parlato o scritto, ovvero accendendo l’area di Broca nella parte frontale dell’emisfero sinistro del cervello e l’area di Wernicke posta nella regione posteriore temporale dello stesso emisfero, proprio le stesse aree adibite alla decodificazione del linguaggio.

Da qui se ne deduce, tra l’altro, che i nostri antenati comunicavano gesticolando e così capendosi perfettamente: uno stadio intermedio della comunicazione i cui retaggi sono ancora ben presenti nella nostra capacità di interpretare ‘segni’ come una mano passata sulla fronte per comunicare la sensazione di caldo o di fatica o la mano davanti alla bocca per chiedere il silenzio.

L’importanza del padre nella formazione psicologica dei figli

A partire dai 16-17 mesi, il bambino è pronto a passare periodi sempre più lunghi con il papà ed instaura con lui un rapporto molto diverso da quello materno consolidando così la sua autonomia dalla madre. Per la femmina diviene un vero e proprio rapporto d’amore mentre per il figlio maschio il papà diviene un idolo a cui assomigliare quando diventerà grande!

All’inizio è proprio una buona simbiosi con la madre, l’amore e l’attenzione, che pone le basi per lo sviluppo di una personalità sicura ed armonica del bambino. Ma è proprio la presenza del papà che permetterà alla diade madre-bambino di superare questa simbiosi e il papà istintivamente deve capire quando è il momento di ricercare l’avvicinamento della coppia e di conseguenza fare da filtro nella reciproca dipendenza tra madre e figlio.

Fin dalla nascita il figlio e la figlia instaurano un rapporto di amore e di simbiosi con la mamma. Si tratta, comunque, di una simbiosi normale ove il bambino si comporta come se lui e la mamma fossero una cosa sola!

Verso la fine del primo anno il papà diventa indispensabile affinché il bambino riesca ad identificarsi come un individuo a sé. Questa trasformazione si ultima grazie al passaggio successivo, che avviene circa sei mesi più tardi, con la conquista della deambulazione e l’inizio del linguaggio.

E così, a partire dai sedici-diciassette mesi, il bambino è pronto a passare periodi sempre più lunghi con il papà ed instaura con lui un rapporto molto diverso da quello materno consolidando così la sua autonomia dalla madre. Per la femmina diviene un vero e proprio rapporto d’amore mentre per il figlio maschio il papà diviene un idolo a cui assomigliare quando diventerà grande!

La tappa successiva è quella dei tre anni e mezzo in cui l’amore nei confronti del padre comincia a dissolversi e le cose a questo punto si fanno sempre più difficili! Infatti l’amore nei confronti dei genitori diventa di tipo “competitivo”; il maschio manifesta questo sentimento nei confronti del padre e la femmina nei confronti della madre ed è lo stesso sentimento che caratterizzerà poi la pre-adolescenza.

Nel periodo di mezzo (dai cinque ai dieci anni) i bambini vivono il “periodo sociale” per cui la loro attenzione viene rivolta non più solo ai genitori, ma soprattutto alla società. Anche qui la funzione del padre è fondamentale perché deve guidarlo nella difficile mediazione tra quello che il bambino pensa che gli altri vogliano da lui e quello che lui desidera diventare.

Questo aiuta il bambino a formare una coscienza morale grazie alla quale distinguerà sempre di più quello che è giusto da quello che non lo è e di rispettare i limiti che gli vengono dati dal padre. Al tempo stesso il bambino durante la propria crescita deve imparare ad aprirsi intellettualmente ed emotivamente per capire cosa lui desidera veramente e per essere pronto a superare con meno difficoltà gli ostacoli che incontra.

Con il periodo della pre-adolescenza tutto cambia e ritorna l’amore verso i genitori ma anche un forte desiderio di condividere le proprie esperienze con i coetanei. Solo poco dopo nascerà una forte attrazione per un’altra persona, esterna alla famiglia. Spesso in questa situazione il maschio cerca, più o meno consapevolmente, il colloquio col padre e comunque ne ha sempre più bisogno. Il figlio maschio si troverà in uno stato confusionale per cui penserà di dover scegliere tra l’amore della madre e l’amore per un’altra persona. La figlia invece, cercherà nel padre approvazione e stima per la sua femminilità sempre più evidente e per il suo carattere sempre più sicuro ed indipendente. Insomma il papà con la sua presenza, i suoi gesti e le sue parole trasmette ai figli la fiducia indispensabile per affrontare la vita. Per questo l’assenza del padre spesso porta a figli tristi, disorientati o addirittura depressi.

Per concludere: ricordiamo a tutti gli uomini che per diventare papà è fondamentale compiere degli aggiustamenti psicologici e comportamentali necessari per ricoprire pienamente il proprio ruolo!

Internet e i bambini

I bambini, ormai sempre più, hanno accesso a Internet e noi adulti ci chiediamo se quello della rete sia, o possa diventare, un mondo a misura del bambino. La soluzione non è di certo vietare ai bambini l’accesso ad Internet ma tutelarli da eventuali pericoli. Come fare? A questo scopo può essere utile leggere ai vostri figli il “Vademecum per i bambini”.

I bambini, ormai sempre più, hanno accesso a Internet e noi adulti ci chiediamo se quello della rete sia, o possa diventare, un mondo a misura del bambino. Quello che preoccupa è sicuramente il facile accesso a contenuti non idonei o addirittura a materiale illegale e quindi nocivo per i bambini (pornografia, razzismo, violenza).

La soluzione non è di certo vietare ai bambini l’accesso ad Internet ma tutelarli da eventuali pericoli. Come fare? Bisogna sapere, ad esempio, che esiste un codice di autoregolamentazione “ Internet e Minori” che promuove la realizzazione di accessi diversificati alla rete per mezzo dell’uso di password o filtri. (Per approfondire l’argomento si consiglia di visitare sul Portale Nazionale del Cittadino la sezione “Chi ha paura della rete?”  al seguente link www.italia.gov.it.

Inoltre noi adulti dobbiamo “educare” i nostri figli alla navigazione attraverso delle regole anche se la protezione insostituibile resta comunque la presenza dei genitori al loro fianco.
A questo scopo può essere utile leggere ai vostri figli il “Vademecum per i bambini” redatto dall’Istituto di Psichiatria – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma:
Vademecum per i Bambini
• Quando sei su Internet non dare mai a nessuno il tuo indirizzo di casa, il tuo numero di telefono o il nome della tua scuola, a meno che i tuoi genitori non ti diano il permesso.
• Non prendere appuntamenti con persone conosciute su Internet, anche se dicono di essere tuoi coetanei, senza prima aver chiesto il permesso dei tuoi genitori e fai venire anche loro al primo incontro.
• Se frequenti una chat room e qualcuno ti dice qualcosa di strano o preoccupante (ad esempio fa discorsi sul sesso), parlane appena possibile con i tuoi genitori.
• Non rispondere mai a e-mail o messaggi fastidiosi o velati, specie se di argomento sessuale, e se ti capita di notare fotografie di persone adulte o bambini nudi parlane sempre ai tuoi genitori.
• Ricorda che se qualcuno ti fa un’offerta che sembra troppo bella per essere vera, probabilmente non è credibile.
(fonte: www.intrage.it)

Per aiutarvi, inoltre, in questo compito vi suggeriamo di considerare le indicazioni del “Vademecum per i Genitori” di seguito riportato:
Vademecum per i Genitori
• Il computer deve essere posizionato al centro dell’appartamento, mai nella stanza del bambino.
• Stabilire regole ben precise su come e quando utilizzare Internet.
• Conoscere gli amici on-line dei figli.
• Leggere le e-mail con i figli. Molti pedofili attaccano alle e-mail foto di pedopornografia con il fine di convincere che altri bambini compiono atti sessuali.
• Installare un software che memorizzi i siti visitati dal bambino.
• Assicurarsi che i bambini non possano incontrare nessuno, nella vita reale, conosciuto on-line, senza il consenso dei genitori.
• Usare appositi software di protezione, che riconoscono alcune parole chiave impedendo l’accesso a siti pornografici.
• Tenere lontani i bambini dalle chat-room o da Irc, a meno che non siano state controllate prima.
• Far capire ai propri figli di non dare alcuna informazione personale (città, scuola frequentata…).
• Cercare di usare Internet insieme ai propri figli.
(fonte: www.intrage.it)

Il momento della pappa!

Il rapporto che il bambino ha con il cibo può diventare uno degli ostacoli più temuti per i genitori. Molti si chiedono se sia giusto far giocare il bimbo con il cibo o se, al contrario, bisogna evitare che il pasto diventi un momento ludico. Quel che è certo è che il rapporto con il cibo cambia e si trasforma a seconda dell’età…

Il rapporto che il bambino ha con il cibo può diventare uno degli ostacoli più temuti per i genitori, specie quando il momento del pasto trasforma il vostro piccolo e tranquillo figliuolo in un mostriciattolo appiccicoso e pronto a lanciare cibo ovunque!!!
Molti genitori si chiedono se sia giusto far giocare il bimbo con il cibo o se, al contrario, bisogna evitare che il pasto diventi un momento ludico.

Quel che è certo è che il rapporto con il cibo cambia e si trasforma a seconda dell’età. A 12-18 mesi i bambini mangiano ormai quasi tutto ed è il momento giusto per proporgli di assaggiare qualche novità! L’accettazione dei nuovi cibi è strettamente correlata alle esperienze sociale e cognitive del bambino. Ma proprio in questa età, il bambino vuole giocare con il cibo e la funzione nutritiva sembra passare in secondo piano. In questo caso è importante per i genitori seguire delle semplici regole quali:

  1. Far arrivare il bambino a tavola con il senso della fame, rassicurandolo al contempo che presto verrà saziato!
  2. Incoraggiare il bambino a mangiare da solo anche se utilizza le mani o si sporca ma spiegargli che non si gioca con il cibo quando si mangia e che dopo il pasto gli darete la possibilità di manipolare e divertirsi con farina, pasta cruda, legumi etc…
  3. Se il bambino gioca con il cibo senza più mangiare è bene togliere il piatto e fargli comprendere che se non ha più fame il momento del pasto è finito.

A 18-24 mesi, normalmente, il bambino mangia autonomamente a tavola con la mamma e il papà e ciò è importante per l’affermazione della sua indipendenza. Per questo è bene che il pasto consumato a tavola sia uguale per tutti. Il problema nasce quando il bambino rifiuta di mangiare ciò che gli viene proposto ed è difficile dire se è bene o meno dare l’alternativa. Sicuramente va considerato che il bambino in questa età diviene oppositivo proprio perché vuole sempre di più affermarsi e quindi il genitore deve capire se il rifiuto è legato al gusto o ad un’opposizione e quindi riuscire ad offrire comprensione ma essere allo stesso tempo fermo per quanto riguarda le regole stabilite.

A 2-3 anni il momento del pasto diviene anche un momento di condivisione familiare in cui ci si racconta e si condivide come ognuno ha trascorso la giornata. L’autonomia del bambino si rafforza e il genitore dovrebbe dargli la possibilità di servirsi da solo in modo che capisca a poco a poco quale sia la giusta porzione per lui e riconoscere il senso di sazietà senza spreco di cibo.
Inoltre si può passare all’utilizzo di piatti di ceramica e bicchieri di vetro responsabilizzandolo sempre di più.
Infine a 4-5 anni il momento del pasto dovrebbe ormai essere ben interiorizzato e il bambino sarà in grado di scegliere il cibo in base al proprio gusto e di riconoscere anche la composizione dei piatti che gli vengono proposti.

Quello che è sempre importante è di non far mangiare mai il bambino da solo proprio perché deve essere un momento di dialogo e condivisione. E deve essere anche un momento piacevole e non un interrogatorio del tipo: “Oggi hai studiato? Ti sei lavato? Hai fatto il tuo dovere?”
Bisogna permettere al bambino di mangiare con calma dandogli anche la possibilità di fare una pausa tra un piatto e l’altro in modo tale di poter percepire anche meglio il senso di sazietà.
La soluzione migliore è seguire queste poche e semplici regole e dare il tempo al bambino di scoprire un nuovo gusto proponendoglielo almeno per tre volte, per evitare che finisca subito sulla lista nera dei cibi da evitare!

I bambini e lo Sport

Lo sport praticato fin dalla tenera età fa bene per un adeguato sviluppo delle ossa, dei muscoli, aiuta il metabolismo e favorisce anche la socializzazione. Di conseguenza previene problematiche legate al sovrappeso che possono portare a problemi cardiovascolari in età adulta. Ma quando è giusto far cominciare i bambini a fare sport e come capire quale sia il più appropriato?

Quello di cui la maggior parte è consapevole, è che lo sport praticato fin dalla tenera età fa bene per un adeguato sviluppo delle ossa, dei muscoli, aiuta il metabolismo e favorisce anche la socializzazione. Di conseguenza previene problematiche legate al sovrappeso che possono portare a problemi cardiovascolari in età adulta.

Inoltre, cominciare a fare sport precocemente fa si che il corpo sviluppi non solo una muscolatura migliore ma anche capacità coordinative, forza, resistenza e velocità che vengono preservate anche se interromperà per alcuni anni. Ma quello che spesso si chiedono i genitori è quando sia giusto far cominciare i bambini a fare sport e quale sia quello più appropriato.

All’inizio è sicuramente meglio far praticare ai bambini degli sport come il nuoto per favorire uno sviluppo armonico del corpo; ma c’è anche da considerare che ormai qualsiasi sport viene adattato all’età del bambino e che l’approccio iniziale è comunque ludico e per questo fino ai sei anni non si può parlare di sport vero e proprio! Solo con il passare degli anni la pratica sportiva tira dunque fuori le potenzialità di ognuno e dopo i sei anni i bambini si possono dedicare a discipline sportive come l’atletica o il basket.

La frequenza settimanale consigliata è di 2- 3 volte alla settimana e si sconsiglia di praticare uno sport agonistico prima dei 12 anni. La figura dell’istruttore è di fondamentale importanza perché deve motivare il bambino e farlo divertire ma nello stesso tempo deve offrirgli le nozioni tecniche fondamentali. Quando il bambino sarà più grande è giusto anche prendersi della pause per parlare con lui e cercare di capire da dove derivano eventuali difficoltà o insuccessi, per far si che riesca a tirare sempre fuori il meglio di sé. Un discorso a parte va fatto per i sport di squadra che difficilmente si possono iniziare prima dei 7-8 anni.

Tra i sport più amati ci sono :

  1. Ginnastica artistica: si può cominciare a 4-5 anni ed è uno sport completo, praticato soprattutto dalle bimbe. Favorisce in particolare il coordinamento, la grazia e la misura.
  2. Calcio: è senza dubbio lo sport più amato dai maschi ma si consiglia di non iniziare prima dei 6 anni, quando si possono comprendere correttamente le regole del gioco. Non è uno sport completo perché sviluppa prevalentemente la muscolatura delle gambe e per questo è consigliabile abbinarlo con altri sport.
  3. Karate/judo: va bene per tutti, maschi e femmine e soprattutto per i bambini un po’ insicuri di sé; inoltre aiuta i maschietti a fare un uso “positivo” della forza e non aggressivo. Non è indicato però per bambini al di sotto dei 7 anni perché ha bisogno di un notevole coordinamento.

L’attività sportiva è una scelta valida per il proprio bambino che ha voglia di muoversi e di consumare le sue energie. Il consiglio da dare ai genitori è di far divertire il proprio bambino, senza aspettarsi che diventi un campione; la pratica sportiva aiuta a crescere, a rispettare gli altri e la propria salute. Pressare il bambino con aspettative troppo alte è dannoso per il suo equilibrio psicologico. Lasciarlo giocare, divertirsi, sfogarsi con il suo sport invece, ha solo lo scopo di renderlo felice e contento per quello che fa, facendogli acquistare sicurezza e determinazione. Con il tempo poi, mano a mano che cresce, sarà lui a capire e ad orientarsi verso lo sport che più preferisce e lo rappresenta. L’importante è iniziare, poi le scelte vengono da sole.

La gelosia tra fratelli

La gelosia è un fenomeno praticamente inevitabile all’interno della famiglia e soprattutto tra fratelli; il momento cruciale è proprio la nascita di un fratellino. Il fratello maggiore fino a quel momento ha avuto solo per sé mamma e papà e il doverli dividere con un fratello porta tante perplessità e paure che si manifestano in diversi modi.

Chi di noi non ha mai desiderato essere il figlio preferito, il più bravo e il più stimato dai propri genitori? Ma, soprattutto, chi non ha mai pensato che il fratello o la sorella godessero di più attenzione, stima e amore?

La gelosia è un fenomeno praticamente inevitabile all’interno della famiglia e soprattutto tra fratelli; il momento cruciale è proprio la nascita di un fratellino. Il fratello maggiore fino a quel momento ha avuto solo per sé mamma e papà e il doverli dividere con un fratello porta tante perplessità e paure che si manifestano in diversi modi.

Egli può infatti avere atteggiamenti ostili, isolarsi, regredire in alcune acquisizioni già consolidate o manifestare addirittura comportamenti crudeli e distruttivi. E proprio perché questi comportamenti nascono dalla paura di non essere più amato, la punizione non è la giusta soluzione ma, al contrario, il bambino dovrà essere rassicurato e coccolato dai genitori. Date quindi al bambino il tempo di elaborare la situazione permettendogli anche di avere comportamenti di un bimbo più piccolo e facendogli al contempo capire che i comportamenti negativi ed aggressivi non sono accettabili!

Un bambino piccolo non è in grado di esprimere verbalmente e di gestire le emozioni che lo invadono in questo delicato momento e per questo è bene essere pronti ad accogliere i suoi comportamenti e affrontare insieme a lui le difficoltà. Privarlo della possibilità di manifestare la sua gelosia o punirlo per qualcosa che ha fatto, reprime questa emozione e ne impedisce l’espressione, ma è molto probabile che si ripresenti in un secondo tempo in una forma più intensa.

I bambini primogeniti ottengono di solito ottimi risultati in quello che fanno, tendono ad essere più maturi e responsabili e non hanno alcuna difficoltà a seguire norme e regole. Il secondo bambino ha spesso la sensazione che rimarrà “l’eterno secondo” e non riuscirà mai a raggiungere gli stessi successi del fratello maggiore.

Per non parlare del terzo figlio che risente sia della figura di quello più grande sia di quello più piccolo e i genitori spesso sono meno incisivi e troppo indulgenti o nutrono meno aspettative nei suoi confronti. Il bambino può cosi sviluppare un carattere immaturo e sentirsi solo e incapace, cercando stabilità e appoggiandosi spesso agli altri. Ma il bambino più piccolo tende generalmente anche ad essere molto socievole ed espansivo con gli altri.

I litigi tra fratelli sono inevitabili e i genitori non possono pretendere che i bambini vadano sempre d’amore e d’accordo. Spesso, per i genitori, diventa difficile capire chi è innocente e chi colpevole e per questo si dovrebbe evitare di prendere le parti di uno o dell’altro e focalizzare l’attenzione sul gesto sbagliato. E’ importante aspettare, per quanto è possibile, che i bambini risolvino i problemi tra di loro lasciando ai genitori il ruolo di chiarire cosa è permesso e cosa no in un litigio. In pratica, cercate sempre di trovare una soluzione al problema, non un colpevole.

La metodologia vincente, quando si hanno più figli, è sicuramente quella di far sentire ognuno speciale per le proprie caratteristiche e diversità valorizzando le qualità positive. E’ inoltre importante che ogni bambino abbia il diritto di avere cose ed oggetti personali e che possa decidere se e quando condividerli con i fratelli.

L’amicizia in età prescolare

Lo sviluppo del linguaggio permette di condividere conoscenze e stati d’animo che facilitano la costruzione di rapporti più intimi e complessi. Nel corso della crescita, quindi, la relazione diventa sempre più costruttiva, grazie soprattutto alla capacità del bambino di saper valutare il punto di vista dell’altro. Un’altra componente fondamentale diviene la funzione simbolica…

Sin dai primi mesi i bambini mostrano di esser attratti dai propri coetanei e, con la crescita, cresce anche questo interesse. La differenza che c’è tra una relazione di amicizia di due bambini di 12 mesi rispetto a bambini di 2-3 anni è che non necessariamente all’azione di un bambino corrisponde un’azione coordinata da parte del secondo.

Inoltre, a partire dal secondo anno di vita, si è visto come i bambini trascorrano molto più tempo impegnati nel gioco sociale e come riescano ad adattarsi ai diversi caratteri dei compagni.

Sicuramente lo sviluppo del linguaggio permette di condividere conoscenze e stati d’animo che facilitano la costruzione di rapporti più intimi e complessi. Nel corso della crescita, quindi, la relazione diventa sempre più costruttiva, grazie soprattutto alla capacità del bambino di saper valutare il punto di vista dell’altro.

Un’altra componente fondamentale diviene la funzione simbolica, cioè la capacità di “leggere” gli stati emotivi e le intenzioni dell’altro modificandosi per esempio per la realizzazione di un obiettivo. Ma allo stesso tempo questa capacità li rende anche più selettivi e la scelta ricadrà sui compagni con una maggiore assonanza di carattere o di interessi.

La scuola dell’infanzia costituisce, di certo, un contesto privilegiato dove il bambino ha la possibilità di interagire, imparare a condividere. È importante che a 2-3 anni il bimbo possa frequentare abitualmente altri bambini, per consentirgli di avvicinarsi gradualmente e favorire la nascita di amicizie spontanee. L’amicizia va favorita dai genitori ma mai imposta. Accade, infatti, che i genitori diventino amici e che non si rendano conto che tra i bambini non si crea lo stesso feeling. Inoltre i genitori dovrebbero imparare a non intervenire, se non in situazioni di reale necessità, permettendo così ai bambini di formare un carattere sempre più forte ed autonomo.