Papà e mamma, pari sono?

Mi ha scritto l’Ufficio Marketing di una nota casa produttrice di pannolini (che non cito) per comunicarmi i risultati un sondaggio da lei commissionato, relativo alla percezione delle mamme sul comportamento dei loro mariti o compagni rispetto ai figli, che sembrerebbe sempre più paritario rispetto al passato. Un comportamento che viene definito anche “interscambiabile, concreto e fisico”.

Il campione preso in esame non è elevato – si tratta di 300 papà italiani intervistati su tutto il territorio nazionale – ma probabilmente significativo sul piano statistico, anche se sollevo qualche perplessità leggendo che le interviste sono state effettuate al cospetto delle loro partners, le quali però hanno avuto la possibilità di esprimere il loro punto di vista in merito. 

Le domande del sondaggio riguardavano 17 attività inerenti le 4 sfere principali della gestione del bambino ovvero la nutrizione, il sonno, l’igiene e la pulizia, il gioco e lo svago. Apprendiamo quindi che i padri di oggi giocano con i loro figli in una percentuale pari a 20,4 giorni al mese, gli mettono il pigiama 16,3 giorni, lo portano a letto per 19,2 giorni e guardano con loro i cartoni animati, anche con coinvolgimento emotivo, per 18,6 giorni. 

Considerando che nel 56,4% dei casi la prima parola pronunciata dai bambini è “mamma”, il sondaggio indica che i padri ricordano l’evento in una percentuale pari al 75%, con il ricordo che diventa più flebile da parte di genitori più adulti e cresce se il genitore è più istruito. 

I papà come le mamme? Non proprio, diremmo. Perché se è vero che i padri secondo il sondaggio vivono più intensamente il loro ruolo di genitori rispetto a quelli che li hanno preceduti trenta o quarant’anni fa, è anche vero che le madri denunciano un deficit di collaborazione dei padri per quanto riguarda la collaborazione domestica: gli uomini, infatti, dichiarano di lavare i vestiti solo 2,4 giorni al mese, con il 79% dei papà che non lo fanno mai!

Vaccini: i pediatri ribadiscono l’importanza

Il dibattito sui vaccini resta vivo, nonostante la posizione dei pediatri che proseguono a raccomandarli in grande maggioranza. La viralità con la quale si stanno diffondendo false notizie sul web, unitamente ad alcune sentenze e iniziative giudiziarie, rafforzano le convinzioni di quelle famiglie (ben il 48%!) che ritengono che le vaccinazioni siano pericolose o che (sempre il 48%) siano troppe.

Proprio nel momento in cui scrivo, dermatologi, allergologi, gastroenterologi, neuropsichiatri e pediatri sono riuniti a Camerota per un incontro promosso dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale durante il quale il Presidente di quest’ultima, il Dott. Giuseppe Di Mauro, ribadirà la sua posizione a favore dei vaccini che ha così anticipato: “I vaccini proteggono la vita e la persona. Non solo. Vaccinare significa ridurre le spese e produrre un impatto immediato e benefico sulla sanità pubblica. Le vaccinazioni in forte calo, con diminuzioni che in alcune aree italiane arrivano fino al 25%, soprattutto per rosolia e morbillo, devono far riflettere e ci mettono in allarme. Il nostro compito è quello di tranquillizzare le famiglie italiane con bambini: vaccinate i vostri figli, non abbiate paura! Non esiste alcuna correlazione tra vaccini ed autismo. Si tratta, piuttosto, di notizie false che creano messaggi distorti e lontani anni luce dalla realtà”. 

D’altronde è un fatto che le malattie infettive possono essere eliminate nel tempo ma ciò proprio grazie alle vaccinazioni che sono state effettuate nei decenni. E’ il caso, ad esempio, del vaiolo la cui eradicazione è stata certificata nel 1979 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Altre malattie infettive come la difterite, il tetano e la polio, invece, sembrano ancora lontane dall’eradicazione e quindi la profilassi resta importante. Così come è importante, per i pediatri della SIPPS, rispettare i richiami previsti dal calendario vaccinale, per far sì che non si verifichi un declino dell’immunità con la conseguenza di diventare una fonte di infezione per i non vaccinati e per i lattanti che non hanno completato il ciclo primario.

Meno vaccini, più morbillo?

Torno a parlare del 70° Congresso Italiano di Pediatria che si è svolto una decina di giorni fa a Palermo, per affrontare un tema di grande attualità che è quello dei vaccini e di una loro eventuale inutilità se non dannosità. Ebbene, per i pediatri riuniti a Palermo i dati parlano chiaro: in Italia (e non solo in Italia) si sta assistendo ad un incremento esponenziale di casi di morbillo.

Più precisamente, nel periodo che va da gennaio ad aprile 2014 si sono registrati 1047 casi di morbillo rispetto ai 700 e poco più di casi registrati l’anno precedente. Negli Stati Uniti, poi, i numeri sono ancora più allarmanti, con il più alto numero di infezioni registrato quest’anno dal 1994! Va specificato che il morbillo non è una malattia innocua come molti credono, dal momento che è responsabile in un caso su mille di encefalite, che è a sua volta causa di mortalità o danni permanenti. 

Pediatri ed epidemiologi riconducono l’improvvisa ed allarmante emergenza morbillo ad una mancata copertura vaccinale, anche se non ci sono dati certi al riguardo. Una errata informazione, sopratutto su Internet, sembra essere all’origine del fenomeno delle mancate vaccinazioni. Sul banco di accusa, in particolare, una campagna virale basata sulle convinzioni di un medico inglese, tal Andrew Wakefield (radiato dall’Albo dei Medici, sottolineano i pediatri) che sostiene l’esistenza di una correlazione tra la vaccinazione MPR (quella contro il morbillo, la parotite e la rosolia) e l’insorgenza di autismo. Va detto che tale teoria ha dalla sua, tra l’altro, alcune sentenze favorevoli come una, rimasta celebre, pronunciata a Rimini nel 2012. 

Concludo con le parole di Alberto G. Ugazio, Direttore del Dipartimento di Medicina Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e Presidente della Commissione vaccini della SIP: “La democratizzazione dell’informazione genera anche falsa informazione. Il ritorno del morbillo e di altre malattie infettive, come ad esempio la pertosse in Inghilterra, è un effetto collaterale della medicina ‘postmoderna’: una medicina che non riconosce la verità scientifica, che valuta solo i rischi e non i benefici, che mette le competenze del  paziente sullo stesso piano di quelle del medico. Le informazioni sono una cosa, la conoscenza è un’altra cosa: il problema è che Google mette tutto sullo stesso piano”.

Neonati e caldo

“Antonio, fa caldo…” recitava una popolare pubblicità di qualche anno fa che lanciò l’attrice Luisa Ranieri. Ma fa caldo anche per Mattia, Ludovica, Tommaso e per tutti i bambini che nascono in questi giorni, mentre la temperatura si accinge a raggiungere i picchi dell’anno. Per questo i medici della SIN, la Società Italiana di Neonatologia hanno diffuso una sorta di “Guida al caldo per neonati” impostato sui giudizi – vero o falso –

ad una serie di affermazioni tra quelle più comuni e ricorrenti tra genitori che hanno avuto un bambino da pochi giorni o settimane, proprio nel periodo estivo. 

Ad esempio: è vero o no che i neonati non possono andare al mare? Falso, sostiene il Dott. Marcello Lanari della SIN, precisando che i neonati sono sì particolarmente vulnerabili a contatto con temperature elevate (rischio di disidratazione, secchezza delle mucose, irritabilità) ma che con gli opportuni accorgimenti i genitori non dovranno rinunciare alle vacanze balneari. Basterà fare uscire il bambino nelle ore climaticamente più temperate (prima mattina, tardo pomeriggio), mantenerlo in ambienti ventilati e non esporlo mai direttamente ai raggi del sole. Falso anche il luogo comune per cui i bambini non possono andare in montagna (come farebbero, allora, a nascerci?) e in questo caso è sufficiente che i genitori stiano attenti ad effettuare tappe intermedie se si recano in località ad altezze elevate (oltre 2000 metri) e che vi trascorrano un periodo sufficiente (certo più di un weekend…) per consentire alla fisiologia del bambino di adattarsi alla pressione atmosferica.

Secondo i medici della SIN, i neonati possono viaggiare in automobile, a condizione che all’interno dell’abitacolo ci sia una temperatura adeguata (ma sempre meglio muoversi nelle ore più temperate). E possono viaggiare – se proprio necessario – anche in aereo, ma in questo caso qualche controindicazione effettivamente esiste e sono legate agli sbalzi di temperatura, alla pressione, ai disturbi provocati da luce e rumore e all’ambiente igienicamente non appropriato. I pediatri della SIN, consigliano comunque di stimolare frequentemente la suzione del piccolo soprattutto nelle fasi di decollo e atterraggio, quando la chiusura della comunicazione tra faringe e orecchio medio può creare depressione atmosferica all’orecchio. 

È falso il luogo comune per cui il neonato deve bere acqua (la dieta lattea è sufficiente per le sue esigenze, anche idriche) e quello per cui deve essere molto coperto anche al mare (consigliabile un solo strato di indumenti, chiari, leggeri e di fibre naturali), così come quello che bisogna sempre utilizzare creme protettive prima dell’esposizione solare, visto che quest’ultima va il più possibile evitata. 

È importante fare attenzione alle punture di insetti, da scongiurare con le zanzariere più che con i classici “fornelletti” che emettono sostanze tossiche come anche i prodotti repellenti. 

Decisamente interessanti le considerazioni dei pediatri della SIN rispetto all’inopportunità che i neonati facciano il bagno in piscina o nel mare. In mare per via della temperatura poco adatta al bagnetto e in piscina per lo stesso motivo cui si aggiungono, però, anche la presenza di cloro e la contaminazione dell’acqua, entrambi deleteri specialmente se il neonato presenta ancora residui del moncone ombelicale o aree anche piccole non epitelizzate ed è dunque a rischio di infettarsi. 

Infine – ma questo vale per tutti i momenti dell’anno – mai dare farmaci ai neonati senza il parere del pediatra, perché il neonato tollera le medicine in maniera diversa rispetto non solo agli adulti ma anche ai bambini più grandi, e la sua tolleranza è legata alle sue singolari specificità che solo il pediatra o neonatologo sono in grado di individuare. 

Buone vacanze!

I maltrattamenti accorciano la vita

Nuovi studi e ricerche rivelano un aspetto fino ad oggi sconosciuto rispetto a ciò che sappiamo sui maltrattamenti ai bambini. Se infatti è assodato che essi siano destinati a lasciare un segno nell’età adulta dal punto di vista psicologico, non era altrettanto noto che gli stessi maltrattamenti, così come gli atti di bullismo e gli abusi, possano avere altre conseguenze come l’invecchiamento precoce,

uno stress cronico e persino maggiori possibilità di sviluppare patologie tra le quali l’obesità, cefalea, sindromi dolorose, asma, malattie cardiache e persino tumori. 

Gli studi sopracitati prevengono da diverse università, perlopiù americane, e sono state riassunte nel corso di una tavola rotonda dedicata ai diritti di bambini nell’ambito del 70° Congresso Italiano di Pediatria che nel momento in cui scrivo si sta ancora svolgendo a Palermo. Partiamo dalla minore aspettativa di vita conseguente a maltrattamenti subiti durante l’infanzia: se ne parla sulla rivista scientifica Molecular Psychiatry, rivelando che la ricerca è stata effettuata sulla base di interviste a 236 madri di bambini che sono stati maltrattati o hanno avuto shock di vario tipo. Ai bambini è stata quindi misurata la lunghezza dei loro telomeri, che sono piccole porzioni di DNA dai quali si può desumere la longevità degli individui, con il risultato che tali bambini avranno con tutta probabilità una vita più breve di 7/10 anni rispetto ai bambini che hanno avuto un’infanzia più serena. 

Secondo un lavoro pubblicato invece sul Journal of Behavioral Medicine, gli individui che hanno subito durante l’infanzia punizioni corporali, abusi e insulti hanno la probabilità di ammalarsi di cancro, disturbi cardiaci e asma per una volta e mezzo in più rispetto agli altri. 

Una ricerca della Washington University di St. Louis mette in luce le strette connessioni che ci sono tra i maltrattamenti, soprattutto se numerosi e cronici e alcuni disturbi psicologici e comportamentali che comprendono abuso di sostanze, incidenti e traumi, malattie sessualmente trasmesse, delinquenza e tentativi di suicidio. 

Nella tavola rotonda di Palermo si è parlato anche di abitudini ricorrenti da parte dei genitori nei confronti dei bambini neonati che possono avere gravi conseguenze. Si tratta della cosiddetta Shaken Baby Syndrome (SBS – Sindrome da bambino scosso), ovvero la pratica di scuotere violentemente i neonati per farli smettere di piangere. Tale pratica, ha affermato Pietro Ferrara, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Roma e Docente di Pediatria presso l’Istituto di Clinica Pediatrica dell’Università Cattolica del S. Cuore e l’Università Campus Bio-Medico di Roma, “è una delle principali cause di morte nel primo anno di vita per il 30% dei piccoli scossi mentre l’80% riporta gravi danni permanenti: emorragie cerebrali, disabilità, paralisi, cecità ecc.” 

Secondo Ferrara, il 75% dei genitori non sa che scuotere un bambino può essere molto pericoloso dal momento che fino al 5° mese di vita i muscoli del collo e il cervello non sono sufficientemente sviluppati. E non sa che il pianto del neonato, a partire dalla seconda settimana di vita, può essere non solo molto frequente ma anche inconsolabile…

La merenda: perché, quando e come?

Tutti più o meno d’accordo, tra gli esperti di nutrizione, che l’alimentazione quotidiana debba essere frazionata in 5 pasti, più che mai per i bambini che hanno così la possibilità di fare “rifornimento” di energia e nutrienti in maniera adeguatamente distribuita, piuttosto che concentrati tutti sul pranzo e sulla cena. Attenzione, dunque, alla colazione (ma questo lo sapevamo già) ma spazio anche a merende da effettuarsi a metà mattinata e a metà pomeriggio.

Ma come dovrebbe essere la merenda giusta per i nostri bambini e ragazzi? La risposta, anzi le risposte, arrivano da uno studio promosso da “Polli Cooking Lab”, l’Osservatorio sulle tendenze alimentari dell’omonima azienda toscana che ha interpellato in proposito alcuni nutrizionisti unitamente ad oltre 125 rinomati chef italiani. I quali non si sono mai espressi in modo unanime ma hanno consentito, con le loro opinioni e la loro conoscenza, di offrire un panorama su quella che dovrebbe essere una merenda sana, gustosa e, a loro avviso (opinione, questa, abbastanza diffusa) esteticamente invitante. 

Il dato più rilevante che emerge dall’indagine è che ben metà degli chef interpellati pensano che la merenda debba essere composta da piatti misti tra alimenti salati e dolci, ove i primi dovrebbero comprendere insalata, verdure o conserve vegetali da proporre in tramezzini e i secondi yogurt e frullato di frutta. E se i cibi di difficile digestione sono ovviamente sconsigliati, non lo sono quelli confezionati purché mantenuti in perfette condizioni igieniche. E dal punto di vista nutrizionale, è importante che la merenda contenga sia proteine che grassi e carboidrati, piuttosto che una merenda che apporti un’unica componente in maniera sproporzionata. 

Tra i “masterchef” interpellati per l’indagine, Isa Mazzocchi del ristorante La Palta di  Bilegno (PC) consiglia alle mamme di non affidarsi sempre e comunque alle “merendine” preconfezionate per la merenda dei loro bambini perché “volendo, in sole poche mosse, si può realizzare qualcosa di sano e gustoso anche se si è molto impegnate, è solo una questione di organizzazione”. 

Tano Simonato del Ristorante milanese “Tano Passami l’Olio” suggerisce la frutta fresca per lo spuntino a metà mattinata, mentre nel pomeriggio, se si opta per una merenda salata, meglio utilizzare panini piccoli e non filoni, da condire con tonno, pomodoro, basilico, un filo d’olio e di sale o, in alternativa, con mozzarella, pomodoro e basilico. 

Da tenere anche presente che la maggior parte dei bambini usa fare merenda seduti sul divano o muovendosi per casa e dunque le pietanze più adatte al caso sono i tramezzini (da condire con formaggi, salumi e insalata e, se si vuole, con sottaceti) e frutta affettata o tritata, servita in apposite ciotole. 

Infine i “masterchef” ricordano come anche l’occhio del bambino voglia la sua parte (solo il 17% reputa che sia meglio pensare alla sostanza che alla forma): spazio, quindi, a fantasiose coreografie con il cibo, a percorsi ludici di degustazione o almeno a contenitori colorati e divertenti!

Parto in casa, sì o no?

Un’asserzione, quella dell’Istituto inglese, supportata da uno studio condotto da 65.000 donne dal quale emerge che i rischi che comporta un parto casalingo (ovviamente gestito da  ostetriche specializzate) sono pressoché gli stessi che comportano quelli effettuati negli ospedali, sia per le mamme che per i nascituri. Ciò, però, non è evidentemente sufficiente a convincere la Società Italiana di Neonatologia

che ha fatto sentire la sua voce attraverso il Presidente Costantino Romagnoli il quale ha affermato: “Nonostante le alte competenze che ostetriche e ginecologi possano fornire, le complicanze del parto e del post-partum non sono prevedibili in modo assoluto: ne è la prova la mole di contenziosi medico-legali che i colleghi ostetrici si trovano a dover fronteggiare. E vi assicuro che non si tratta quasi mai di malasanità!” 

Sarebbe a dire che l’assunto secondo il quale si può partorire a casa a condizione che il ginecologo abbia accertato si tratti di un parto naturale e senza complicazioni non è dimostrabile. E il timore, da parte della SIN, è che incoraggiare la pratica possa portare  a drammatiche ripercussioni sulla mortalità neonatale e un conseguente aumento dei contenziosi medico-legali.

Conclude il Presidente Romagnoli: “Penso che l’obiettivo da perseguire sia quello della garanzia della massima sicurezza dell’evento parto sia per la madre che per il neonato, incrementando la collaborazione tra tutti gli operatori del settore, coinvolgendo maggiormente le famiglie nella gestione del post-partum e dell’allattamento, incrementando la dimissione precoce in sicurezza con accurati controlli di follow-up post dimissione.

Forse questo costa di più degli 800 euro stabiliti dal decreto, ma è certamente più utile per i nostri neonati che sono il nostro futuro.” 

Il dibattito, insomma, è più che mai aperto.

Il diabete dei bambini raccontato ‘on line’

L’evento si svolge fisicamente a Milano ma tutti – proprio tutti – possono partecipare grazie al Web. Si tratta di un incontro/confronto sul tema “bambini e diabete” che vedrà protagoniste, venerdì 16 maggio dalle 13 alle 14, 15 mamme sulle 110 partecipanti al “Mamma che blog – Festival delle Mamme Blogger” in svolgimento al Quanta Village di Milano.

Le mamme saranno in comunicazione diretta, per un’ora, con rappresentanti di Associazioni di pazienti, medici diabetologici, blogger e istituzioni per fornire informazioni e suggerimenti sulle problematiche legate al diabete di tipo 1, una patologia metabolica molto diffusa tra bambini e adolescenti: secondo i dati diffusi dall’International Diabetes Federation sono ben 79mila i bambini che nel 2013 hanno sviluppato nel mondo la malattia. 

L’iniziativa promossa dall’azienda farmaceutica Sanofi, che si svolge anche su Twitter sul canale @#5azioni e sulla pagina Facebook 5azioni, è finalizzata a recepire da parte dei genitori le loro principali preoccupazioni riguardo al diabete dei loro bambini, raccogliere testimonianze e lanciare suggerimenti. Successivamente all’evento, in base ai temi della discussione, verranno stilare le proprietà per conoscere e contrastare il diabete da presentare alla Giornata Mondiale sul Diabete che si svolgerà il 14 novembre 2014, una vera e propria “agenda digitale” sull’argomento. 

Per assistere alla diretta dell’evento intitolato “Giovani Leoni” basterà collegarsi al sito www.5azioni.it alle 13 di venerdì 16 maggio. Dopo la diretta, sarà quindi possibile assistere all’evento in replica.

La Giornata Mondiale del Latte

Da diversi anni i pediatri e i nutrizionisti (soprattutto i secondi) si dividono sull’effettiva utilità del latte nel processo di crescita e di sviluppo dei bambini. Prevale, tuttavia, la tesi dell’opportunità di assumere latte, quanto più possibile, nell’età scolare e non sarà un caso che, per rimarcarla, la FAO abbia istituito addirittura una giornata mondiale, il World School Milk Day, cui hanno aderito 25 Paesi, giunta proprio il 24 settembre 2014, alla sua 15a edizione si.

Me lo ricorda l’Assolatte, l’associazione delle imprese italiane che operano nel comparto lattiero caseario, con un comunicato nel quale elenca anche le 5 ragioni principali per cui i bambini e i ragazzi dovrebbero bere latte (e possibilmente mangiare yogurt) ogni giorno. È chiaro che l’Associazione tira acqua (o latte?) al proprio mulino ma per coloro che sono a favore del latte (cioè la maggioranza, con tutto il rispetto e la solidarietà a coloro che ne sono allergici, me compreso) riporto quanto leggo: 

  1. Il latte e lo yogurt sono alimenti ricchi di tanti nutrienti essenziali. Infatti apportano: proteine (che contengono in quantità elevata tutti gli amminoacidi essenziali), grassi (importanti per fornire energia ed acidi grassi essenziali) e carboidrati (come il lattosio, che migliora la capacità dell’organismo di assorbire il calcio e lo zinco) e gli oligosaccaridi, che agiscono positivamente sulla salute, stimolando la crescita di batteri probiotici. E poi il latte e lo yogurt sono alimenti importanti anche per il contenuto di minerali (in particolare calcio e fosforo, presenti in un rapporto ottimale), di magnesio, zinco, rame e selenio, e di vitamine (come la A, D, E e K, l’acido folico e la riboflavina). 
  2. Il latte è un alimento più nutriente che calorico. Nel latte i suoi numerosi nutrienti (vitamine, minerali, oltre alle proteine, zuccheri e grassi) sono distribuiti in una buona quantità di acqua. In questo modo l’apporto calorico è limitato. Un bicchiere di latte (125 g) ha un apporto energetico compreso fra le 45 calorie del tipo scremato e le 80 calorie di quello intero. Queste caratteristiche permettono di definire il latte un alimento a bassa “densità energetica” e con elevata “densità nutrizionale”, ossia fornisce un elevato numero di nutrienti ma con poche calorie. 
  3. Bere ogni giorno latte (caldo, freddo, “liscio” o insaporito con cacao o frutta) e fare colazione o merenda con lo yogurt aiutano gli studenti a nutrirsi in modo completo e a introdurre le giuste quantità dei nutrienti più importanti. Questo contribuisce alla qualità della loro alimentazione e li aiuta a mettere in pratica le raccomandazioni dietetiche. La giornata scolastica dei ragazzi è spesso lunga e, quindi, i pasti consumati a scuola diventano particolarmente importanti per far sì che assumano i nutrienti raccomandati in quantità sufficienti. 
  4. Bere latte e consumare yogurt insegna ai bambini a mangiare in modo sano. E quindi li predispone a una vita sana. Consumare latte e latticini durante l’infanzia aiuta i bambini a sviluppare il gusto per il latte e ad adottare, da adulti, delle abitudini alimentari più sane. Gli studi mostrano che i genitori influenzano l’atteggiamento dei loro bambini verso i prodotti lattiero-caseari e il loro consumo quotidiano. I figli di genitori che bevono molto latte mostrano, infatti, un più alto intake di latte e derivati. 
  5. Il latte e lo yogurt rendono più completa la prima colazione. In Europa dal 10 al 30% dei bambini e degli adolescenti non fa colazione al mattino. Un’abitudine che può avere conseguenze sfavorevoli per la salute e le performance cognitive. Sempre più studi confermano che saltare la colazione predispone ad abitudini nutrizionali inadeguate, e persino all’obesità. Diversi studi hanno constatato un maggiore consumo di latte e/o yogurt e un più alto intake di calcio nei bambini e negli adolescenti che fanno colazione. I nutrizionisti consigliano di inserire sempre i prodotti lattiero-caseari nella prima colazione di tutti, ancor di più in quella di bambini e adolescenti.

Cosa fare quando si deve tornare al lavoro?

Un interrogativo che molti genitori si pongono quando devono rientrare al lavoro, è quello di dover affidare il proprio bambino alle cure di “altri” e devono scegliere tra i nonni, se presenti, una tata o l’asilo nido. La scelta spetta in primo luogo ai soli genitori che devono valutare serenamente e il più possibile senza pressioni esterne il da farsi.

La nascita di un bambino costituisce un periodo di adattamento della coppia ed implica numerosicambiamenti nei rapporti familiari, nel vissuto emotivo e negli aspetti organizzativi e pratici della nuova famiglia. Un interrogativo che molti genitori si pongono quando devono rientrare al lavoro, è quello di dover affidare il proprio bambino alle cure di “altri” e devono scegliere tra i nonni, se presenti, una tata o l’asilo nido.

Diverse dinamiche intervengono consciamente o inconsciamente nella scelta se sia meglio il nido, i nonni o la tata. La scelta spetta in primo luogo ai soli genitori che devono valutare serenamente e il più possibile senza pressioni esterne il da farsi.

I nonni sono una grande opportunità. Sono molto importanti nella vita dei bambini e stare con loro rappresenta per i piccoli un’esperienza spesso unica e insostituibile. Ai nonni è concesso (ma i nonni non devono esagerare) anche ciò che ai genitori non è permesso, come qualche vizio e attenzione in più. I bambini lo percepiscono e beneficiano di queste coccole extra senza che dal punto di vista educativo vi siano interferenze significative dal momento che i due ruoli sono molto diversi. Se i genitori sapranno non demandare troppo ai nonni ed i nonni si muniranno di grande buon senso, anche i bimbi più piccoli capiranno che alcune cose che si fanno con i nonni non si possono fare con mamma e papà. Con i nonni, poi, i genitori sono senz’altro più tranquilli sapendo che il loro figliolo sta con persone che gli vogliono benee che resteranno sempre un punto di riferimento nella sua crescita. La flessibilità negli orari è massima perché fanno parte della famiglia e, pertanto più disposti a coprire ritardi e contrattempi.

Occorre sempre valutare le capacità effettive dei nonni perché un bambino richiede molte energie e prendersene cura potrebbe essere alla fine un carico di lavoro troppo pesante per i nonni stessi. Ciò sarebbe negativo per loro in quanto si sentirebbero inadatti, ma anche per il bimbo che vedrebbe questo rapporto non certo piacevole e stimolante. I bambini hanno bisogno di socializzare e non sempre i nonni hanno la possibilità di soddisfare questo bisogno fondamentale, hanno bisogno di essere stimolati con “diversi linguaggi” e non sempre i nonni hanno a disposizione gli strumenti idonei.

Molto importante sarebbe, poi, considerare il tipo di rapporto fra le famiglie. Se vi sono conflitti non risolti e mancanza di fiducia, è bene evitare questa soluzione foriera di litigi fra nonni e genitori ed anche fra i due genitori. Anche un certo grado di invadenza da parte dei nonni potrebbe portare a non rispettare del tutto le direttive dei genitori, con tutti gli evidenti problemi che si creerebbero. Per ovviare a tutte queste situazioni sarà importantissimo che i due genitori stabiliscano delle regole chiare attinenti l’educazione del bimbo, proponendole nel modo corretto, con molto tatto, ai nonni, lasciando loro, comunque, un margine dilibertà di scelta e di autonomia.

La tata è una presenza rassicurante che segue e accompagna il bimbo per molte ore lungo la giornata. È, pertanto, una figura di riferimento costante che può permettere una personalizzazione degli orari come il Nido non può permettere. Offre al piccolo un rapporto esclusivo, quasi da vice-mamma, persona ideale per essere affettuosa con il bimbo, in grado di giocare con lui, preparata (lo deve essere!! ) e molto paziente. Risolve tanti problemi logistici: viene lei a casa per cui il bimbo non deve uscire alle sette e mezza cinque volte alla settimana “che piova o che nevichi” ; cura il bimbo quando è ammalato, è presente negli orari che interessano ai genitori, sbriga le faccende del piccolo, bagnetto e pappe comprese. Alla fine si può chiedere meglio ad una tata che non ai nonni di rispettare dettami educativi che siano stati decisi dai genitori, così come l’ottemperare a regole pratiche di gestione del bimbo.

Anche per la tata ci sono le stesse problematiche che per i nonni. I bambini hanno bisogno di socializzare e non sempre le tate hanno la possibilità di soddisfare questobisogno fondamentale, hanno bisogno di essere stimolati con “diversi linguaggi” e non sempre le tate hanno a disposizione gli strumenti idonei.

Spesso le tate devono anche tenere in ordine la casa e non riescono a seguire in maniera adeguata i bisogni del bambino.

La ricerca della persona giusta è veramente difficile !!!

È ormai riconosciuto che l’asilo nido non deve assolutamente essere considerato un “parcheggio”, è una esperienza formativa e relazionale. L’asilo nido si pone come un servizio di sostegno alla famiglia offrendo una risposta concreta ed attenta ai bambini nei primi tre anni di vita, mentre i genitori sono impegnati nel lavoro. L’asilo nido è un servizio educativo e sociale che favorisce, in collaborazione con la famiglia, l’armonicosviluppo della personalità del bambino, promuovendone l’autonomia e la socializzazione.

È un contesto socio-educativo, un luogo di allevamento e di vita dove i bambini fanno delle esperienze educative e i genitori trovano soluzioni di cura e di supporto, oltre che una condivisione della responsabilità educativa. Il nido è anche un luogo in continuo sviluppo e cambiamento.

La cultura pedagogica odierna si basa sul principio della diversità di ciascuno e mira alla valorizzazione della specificità, dei bisogni e dei percorsi di apprendimento dei singoli bambini. È un’occasione straordinaria sia per il bambino sia per la sua famiglia. Tra le varie funzioni del nido è importante sottolineare quella sociale, che media le possibili difficoltà relazionali, che supporta la famiglia nellaproblematicità del vivere quotidiano, che è di riferimento alla madre, anche contenendone e sostenendone le fatiche e i dubbi.

La frequenza di un buon asilo nido stimola e aiuta la crescita e lo sviluppo delle potenzialità del bambino in una fase dell’età fondamentale come quella dai 3 ai 36 mesi. La funzione dell’Asilo Nido, in stretta concertazione con la famiglia, assume quindi connotati di primaria importanza nella costruzione del rapporto di fiducia verso se stesso e di indipendenza che il bambino deve conquistare nei suoi primissimi anni di vita. Alla base della riuscita di questo progetto, risulta indispensabile la relazione con la famiglia, basata sulla collaborazione e la fiducia reciproche affinché il bambino possa beneficiare di un flusso dicontinuità affettiva, dal genitore all’educatore, che accompagni costantemente le sue giornate.

Generalmente le attività dell’Asilo Nido sono scandite sia da ritmi precisi, nel rispetto dell’esigenza diabitudinarietà che il bambino richiede, sia da attività più flessibili, programmate o modulate sulla base delle esigenze del singolo o del gruppo del momento.

Il gioco ha una particolare importanza nella vita del bambino, perché attraverso il gioco egli impara aconoscere il mondo ed è per questo che le attività ludiche occupano la maggior parte della giornata al Nido. Oltre al gioco libero, che stimola le libere esperienze del bambino, come l’esplorazione dell’ambiente circostante, la socializzazione con gli altri, il gioco individuale, vengono svolte anche attività strutturateguidate dalle educatrici, finalizzate ad un armonico sviluppo globale.

Le attività strutturate comprendono le manipolazioni, i giochi euristici, il gioco simbolico, le attività grafico-pittoriche, musicali, linguistico-cognitive e le attività di psicomotricità. Nel nido il bambino ha la possibilità di giocare con attrezzi e giocattoli di dimensioni molto maggiori di quelli che gli spazi domestici consentono, arricchendo così la sua abilità motoria e le sue esperienze con materiali e oggetti diversi.

Inoltre offre la possibilità di interagire con i coetanei, è qui che nascono le prime amicizie, insieme ai primi giochi di gruppo ma anche le prime passioni, le confidenze, complicità, conflitti e gelosie, litigi e grandi riappacificazioni. Il nido è uno spazio di gioco potenzialmente ricco e stimolante, di amore, di condivisione e soprattutto di crescita.

Il Nido è anche un luogo di crescita e di confronto del genitore, che affronta con il supporto e la condivisione di personale qualificato, le problematiche che deve affrontare nel percorso di crescita del figlio.

Naturalmente i contro dell’inserimento al nido nei primi mesi di vita sono esplicitati dai punti di forza dallo stare con i nonni o con una tata “professionale”, e dalla possibilità di ammalarsi con tutto ciò che ne consegue.